Alva Noë è professore di Filosofia presso l’Università della California a Berkeley. Si è occupato di teoria della coscienza e della percezione, giungendo a formulare una prospettiva degli eventi di coscienza che non si fonda sulla visione neuroscientifica del cervello, bensì sull’idea di un farsi della coscienza in rapporto con il mondo. Si è inoltre dedicato a studi sui rapporti tra le arti e le neuroscienze. In italiano è disponibile: Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza (Milano 2010). Tra i suoi altri lavori: Vision and Mind (con E. Thompson, Cambridge, Mass. 2002); Action in Perception (Cambridge, Mass. 2004).
domenica 18 settembre 2011
Alva Noë al Festival Filosofia 2011: Coscienza e Cervello
Alva Noë è professore di Filosofia presso l’Università della California a Berkeley. Si è occupato di teoria della coscienza e della percezione, giungendo a formulare una prospettiva degli eventi di coscienza che non si fonda sulla visione neuroscientifica del cervello, bensì sull’idea di un farsi della coscienza in rapporto con il mondo. Si è inoltre dedicato a studi sui rapporti tra le arti e le neuroscienze. In italiano è disponibile: Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza (Milano 2010). Tra i suoi altri lavori: Vision and Mind (con E. Thompson, Cambridge, Mass. 2002); Action in Perception (Cambridge, Mass. 2004).
mercoledì 6 luglio 2011
La voce ci racconta
La sua voce qui era solitaria, triste e preoccupata, questo è il jazz, questa è la narrazione.
Il produttore dell'album ha detto che la sua voce era rovinata, ma ha voluto pubblicare l'intera sessione.
La verità è che questa è la migliore voce che avesse mai avuto.
Tutta la rabbia, il dolore e la tristezza che si era accumulata nel suo cuore, è uscita, nella sua voce.
La storia dice che le lacrime le rigavano il viso mentre questa canzone è stata riprodotta per lei in studio.
Era autenticamente perfetta.
Una vibrazione che possiamo sentire, nelle ossa, come qualcosa di... diverso!
Negra? Non si vede?
Cantante? Ascoltami e vedrai
Puttana? Sì, ho fatto anche quello
E bevo anche come quattro uomini
Non mi fai paura, ho suonato in posti peggiori di questo
In bar di cow boys nel sud dove mi sputavano addosso
In una città dove il giorno stesso avevano linciato un nero
A New Orleans dove un diavolo alla moda
Ogni sera mi regalava fiori di droga
E a Chicago mi innamorai di un trombettista sifilitico
E all’uscita del night mi hanno spaccato la bocca
Sotto la pioggia da una stazione all’altra
Lady sings the blues
Negra? Sì, ma ci sono abituata
Cantante? Canto come una gabbia di uccelli
Note gravi e alte, e tutto il repertorio
Posso svolazzare come quelle belle cantanti dei film
E poi posso piantarti una ballata nel cuore
Vuoi strange fruit? Vuoi midnight train?
Posso cantartela anche da ubriaca
O con un coltello nella schiena
O piena di whisky e altro, perché sono una santa
E il mio altare è nel fumo di questo palco
Dove Lady sings the blues
Negra? Negra e bellissima, amico
Cantante? Non so fare altro
Puttana? Beh sì ho fatto anche quello
E bevo come quattro uomini
Non toccarmi o ti graffio quella bella bianca faccia
Posate il bicchiere, aprite quel poco che avete di cuore
State zitti e ascoltate io canto
Come se fosse l’ultima volta
Fate silenzio, bastardi e inchinatevi
Lady sings the blues
E quando tornerete a casa dite
Ho sentito cantare un angelo
Con le ali di marmo e raso
Puzzava di whisky era negra puttana e malata
Dite il mio nome a tutti, non mi dimenticate
Sono la regina di un reame di stracci
Sono la voce del sole sui campi di cotone
Sono la voce nera piena di luce
Sono la lady che canta il blues
Ah, dimenticavo... e mi chiamo Billie
Billie Holiday
Il produttore dell'album ha detto che la sua voce era rovinata, ma ha voluto pubblicare l'intera sessione.
La verità è che questa è la migliore voce che avesse mai avuto.
Tutta la rabbia, il dolore e la tristezza che si era accumulata nel suo cuore, è uscita, nella sua voce.
La storia dice che le lacrime le rigavano il viso mentre questa canzone è stata riprodotta per lei in studio.
Era autenticamente perfetta.
Una vibrazione che possiamo sentire, nelle ossa, come qualcosa di... diverso!
Negra? Non si vede?
Cantante? Ascoltami e vedrai
Puttana? Sì, ho fatto anche quello
E bevo anche come quattro uomini
Non mi fai paura, ho suonato in posti peggiori di questo
In bar di cow boys nel sud dove mi sputavano addosso
In una città dove il giorno stesso avevano linciato un nero
A New Orleans dove un diavolo alla moda
Ogni sera mi regalava fiori di droga
E a Chicago mi innamorai di un trombettista sifilitico
E all’uscita del night mi hanno spaccato la bocca
Sotto la pioggia da una stazione all’altra
Lady sings the blues
Negra? Sì, ma ci sono abituata
Cantante? Canto come una gabbia di uccelli
Note gravi e alte, e tutto il repertorio
Posso svolazzare come quelle belle cantanti dei film
E poi posso piantarti una ballata nel cuore
Vuoi strange fruit? Vuoi midnight train?
Posso cantartela anche da ubriaca
O con un coltello nella schiena
O piena di whisky e altro, perché sono una santa
E il mio altare è nel fumo di questo palco
Dove Lady sings the blues
Negra? Negra e bellissima, amico
Cantante? Non so fare altro
Puttana? Beh sì ho fatto anche quello
E bevo come quattro uomini
Non toccarmi o ti graffio quella bella bianca faccia
Posate il bicchiere, aprite quel poco che avete di cuore
State zitti e ascoltate io canto
Come se fosse l’ultima volta
Fate silenzio, bastardi e inchinatevi
Lady sings the blues
E quando tornerete a casa dite
Ho sentito cantare un angelo
Con le ali di marmo e raso
Puzzava di whisky era negra puttana e malata
Dite il mio nome a tutti, non mi dimenticate
Sono la regina di un reame di stracci
Sono la voce del sole sui campi di cotone
Sono la voce nera piena di luce
Sono la lady che canta il blues
Ah, dimenticavo... e mi chiamo Billie
Billie Holiday
Inedito di Stefano Benni
martedì 31 maggio 2011
L'ironia al servizio della leggerezza?
Solo per citare i casi più recenti:
Madalon, Il libro mai scritto ma che tutti i big della cultura hanno letto (vedi: http://www.youtube.com/watch?v=aFvjR-BibXg )
al fenomeno di Sucate sul Membro
per continuare con tutta una serie di hashtag su twitter: #dilloaobama, #masiampazzi e lo stesso #sucate; sono diventati tutti luoghi in cui l'ironia è l'espressione e la condizione di accesso. Credo inoltre che questi fenomeni, seppur limitati, se valutiamo il totale complessivo delle persone, siano, se prendiamo a riferimento i giovani e alcuni gruppi sociali, di una certa rilevanza e di tendenza.
Questa mattina accompagnando mio figlio a scuola, ho avuto l'occasione dia scoltare diversi commenti sui ballottaggi che si sono svolti ieri. Mi ha colpito il commento di Ezio Mauro. Dice che l'arma vincente della sinistra a queste elezioni è stata l'ironia e la leggerezza.
Provo allora a riflettere, a posteriori, su su alcune immagini e sensazioni che mi tornanano alla mente. Naturalmente sono consapevole che il tutto è filtrato dalla televisione e dalla parzialità dell'analisi riferita ai due candidati delle due città più seguite dai media, Milano e Napoli. Senza pretese di fare affermazioni assolute e valide scientificamente ecco cosa mi ha colpito. Parto dalla leggerezza.
Le facce di questi due leader non esprimevano la pesantezza di altri momenti. Hanno prevalso i sorrisi ai "musoni" accigliati e incazzati.
Agli attacchi non è stato risposto con una escalation di toni: ulteriori provocazioni, insistenza e accanimento. Non c'è stata nemmono indiffernza. Si è risposto in modo sicuro, argomentato e sintetico.
E' mancato un "controllo" sui candidati locali da parte dei leader nazionali, che anche quando sono intervenuti non hanno innescato le immancabili polemiche tra le diverse "fazioni".
Passo all'ironia.
Significativa la risposta all'accusa della Moratti a Pisapia di aver rubato un'auto fatta a conclusione del primo "duello" TV. Dopo le prime frasi, con l'immancabile annuncio di querela, da parte di Pisapia, la vicenda ha percorso le strade più semplici e immediate dell'ironia. C'è stata l'"invasione" delle malefatte di Pisapia. Ricordo una per tutte la battuta di Crozza "Pisapia ha saputo della sua vittoria al primo turno mentre accidentalmente ha acceso l'autoradio sull'auto che stava rubando!!". Ma poi si è proseguito su questa strada alle accuse di terrorismo e sulle moschee. In particolare su Twitter si è scatenata una vera e propria onda di tweet che ironizzavano sulle vicende. Così come sulle affermazioni sui "comunisti senza cervello" e sulla "puzza perché non si lavano".
L'utilizzo dell'ironia da parte dei comici di professione non è cosa nuova. Credo che nuova sia la diffusione o meglio la "spinta" dal basso a cui abbiamo assistito. Ipotizzo che l'utilizzo dell'ironia sia stata opera diretta della gente comune, attraverso i social network, questo abbia influenzato l'approccio al problema da parte dei leader. Questi si sono sentiti "sostenuti" dai propri elettori e hanno lasciato a loro l'azione di "demolizione" di queste accuse senza doversene far carico in prima persona. Si sono sentiti scaricati di un peso. Più leggeri e quindi più sorridenti. Più leggeri e quindi più sicuri, sintetici, assertivi. E siamo tornati alla leggerezza. L'ronia al servizio della leggerezza e la leggerezza al servizio dell'ironia? Il candidato al servizio degli elettori e gli elettori al servizio dei candidati? Ma questo sarà, forse, un altro post.
Madalon, Il libro mai scritto ma che tutti i big della cultura hanno letto (vedi: http://www.youtube.com/watch?v=aFvjR-BibXg )
al fenomeno di Sucate sul Membro
per continuare con tutta una serie di hashtag su twitter: #dilloaobama, #masiampazzi e lo stesso #sucate; sono diventati tutti luoghi in cui l'ironia è l'espressione e la condizione di accesso. Credo inoltre che questi fenomeni, seppur limitati, se valutiamo il totale complessivo delle persone, siano, se prendiamo a riferimento i giovani e alcuni gruppi sociali, di una certa rilevanza e di tendenza.
Questa mattina accompagnando mio figlio a scuola, ho avuto l'occasione dia scoltare diversi commenti sui ballottaggi che si sono svolti ieri. Mi ha colpito il commento di Ezio Mauro. Dice che l'arma vincente della sinistra a queste elezioni è stata l'ironia e la leggerezza.
Provo allora a riflettere, a posteriori, su su alcune immagini e sensazioni che mi tornanano alla mente. Naturalmente sono consapevole che il tutto è filtrato dalla televisione e dalla parzialità dell'analisi riferita ai due candidati delle due città più seguite dai media, Milano e Napoli. Senza pretese di fare affermazioni assolute e valide scientificamente ecco cosa mi ha colpito. Parto dalla leggerezza.
Le facce di questi due leader non esprimevano la pesantezza di altri momenti. Hanno prevalso i sorrisi ai "musoni" accigliati e incazzati.
Agli attacchi non è stato risposto con una escalation di toni: ulteriori provocazioni, insistenza e accanimento. Non c'è stata nemmono indiffernza. Si è risposto in modo sicuro, argomentato e sintetico.
E' mancato un "controllo" sui candidati locali da parte dei leader nazionali, che anche quando sono intervenuti non hanno innescato le immancabili polemiche tra le diverse "fazioni".
Passo all'ironia.
Significativa la risposta all'accusa della Moratti a Pisapia di aver rubato un'auto fatta a conclusione del primo "duello" TV. Dopo le prime frasi, con l'immancabile annuncio di querela, da parte di Pisapia, la vicenda ha percorso le strade più semplici e immediate dell'ironia. C'è stata l'"invasione" delle malefatte di Pisapia. Ricordo una per tutte la battuta di Crozza "Pisapia ha saputo della sua vittoria al primo turno mentre accidentalmente ha acceso l'autoradio sull'auto che stava rubando!!". Ma poi si è proseguito su questa strada alle accuse di terrorismo e sulle moschee. In particolare su Twitter si è scatenata una vera e propria onda di tweet che ironizzavano sulle vicende. Così come sulle affermazioni sui "comunisti senza cervello" e sulla "puzza perché non si lavano".
L'utilizzo dell'ironia da parte dei comici di professione non è cosa nuova. Credo che nuova sia la diffusione o meglio la "spinta" dal basso a cui abbiamo assistito. Ipotizzo che l'utilizzo dell'ironia sia stata opera diretta della gente comune, attraverso i social network, questo abbia influenzato l'approccio al problema da parte dei leader. Questi si sono sentiti "sostenuti" dai propri elettori e hanno lasciato a loro l'azione di "demolizione" di queste accuse senza doversene far carico in prima persona. Si sono sentiti scaricati di un peso. Più leggeri e quindi più sorridenti. Più leggeri e quindi più sicuri, sintetici, assertivi. E siamo tornati alla leggerezza. L'ronia al servizio della leggerezza e la leggerezza al servizio dell'ironia? Il candidato al servizio degli elettori e gli elettori al servizio dei candidati? Ma questo sarà, forse, un altro post.
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giovedì 19 maggio 2011
CORPI NARRANTI: La metafora corporea
Molte delle metafore che inconsapevolmente usiamo per rappresentarci il mondo
sono tratte dall’esperienza sensoriale e corporeo-spaziale:
"...gli rode il fegato"
"perdere la testa..."
"Dobbiamo stringere i denti!"
"saltare oltre l'ostacolo..."
... ... ...
Tradizionalmente la metafora nel linguaggio letterario è considerata una figura retorica che implica un trasferimento di significato per creare immagini di forte carica espressiva e per questo usata ad esempio in poesia.
Nella linguistica cognitiva la metafora è definita come comprensione di un dominio concettuale in termini di un altro dominio concettuale. I processi di fondo di questa comprensione furono studiati negli anni 70 da Gorge Lakoff, a cui dobbiamo lo sviluppo del termine di metafora concettuale. Per Lakoff, i concetti astratti che noi adoperiamo sono largamente metaforici, risultato del fatto che la mente è incorporata (embodied mind) nel nostro sistema neurofisiologico.
Quando Lakoff parla di "mente incorporata", sostiene che quasi tutta la cognizione umana, fino al ragionamento più astratto, dipende e fa uso di strutture concrete e di "basso livello" quali il sistema sensorimotorio e le emozioni. Pertanto l' embodiment è un rifiuto non solo del dualismo cartesiano mente v. materia, ma anche della pretesa che la ragione umana possa essere essenzialmente compresa senza far riferimento ai "dettagli implementativi" di fondo.
Sulla base di ricerche di psicologia cognitiva e di alcune indagini nella filosofia del linguaggio, sostiene che pochissime delle categorie usate dagli esseri umani siano del tipo bianco o nero. Al contrario, la maggior parte delle categorie sarebbero molto più complicate e ambigue, proprio come i nostri corpi. "Siamo esseri nervosi," sostiene Lakoff, "I nostri cervelli ricevono il loro input dal resto dei nostri corpi. I nostri corpi ed il modo in cui funzionano nel mondo strutturano i concetti che possiamo usare per pensare. Non possiamo pensare qualsiasi cosa - solo ciò che ci permettono i nostri cervelli incorporati."
venerdì 15 aprile 2011
Ironia della sorte!
Il senso popolare fa di “triste” un peggiorativo; l’allegria è il segno delle grandi cose,
ma può essere ironia.
(Mallarmé - Conversazioni)
L’ironia è il pudore dell’umanità
(Jules Renard, Diario)
L’ironia è il pudore dell’umanità
(Jules Renard, Diario)
L’ironia certamente non poté cominciare che da’ tempi della riflessione,
perch’ella è formata dal falso in forma d’una riflessione che prende maschera di verità
(Giambattista Vico, La scienza nuova)
(Giambattista Vico, La scienza nuova)
Per un po’ d’ironia si perde tutto!
(Quasimodo, In una città lontana)
(Quasimodo, In una città lontana)
L'ironia è uno sviluppo anormale che, come quello del fegato delle oche di Strasburgo,
finisce per uccidere l'individuo. (Søren Kierkegaard, Diario)
La libertà comincia con l’ironia
(Hugo, Leggenda dei secoli)
Più penso alla vita umana, più mi convinco che bisogna darle per testimoni
e per giudici l’ironia e la Pietà.
(Anatole France, Il giardino di Epicuro)
(Hugo, Leggenda dei secoli)
Più penso alla vita umana, più mi convinco che bisogna darle per testimoni
e per giudici l’ironia e la Pietà.
(Anatole France, Il giardino di Epicuro)
Mi son trovato a studiare “l’ironia” mio malgrado. Ironia della sorte! Già, succede.
Mi è stato chiesto di lavorare alla progettazione del corso di formazione “Management e ironia” . Bhè è il mio lavoro! Eppure questa frase "ironia della sorte" tra tutte le citazioni precedenti è quella che più mi ha colpito. Perché? Bhé, forse mi infastidiva. Esprimeva in forma ironica una condizione reale. «Con tutte le cose che ho da fare! Mi debbo occupare anche dell’ironia! Non mi fa proprio ridere. E poi per ciò che sta accadendo in italia... nel mondo... non c’è proprio niente da ridere! Anzi ci sarebbe da incazzarsi!».
Era proprio vero. Ironia della sorte!
Se è così, che vuoi farci! E allora avanti!
In modo un po' svogliato scopro che “l’ironia è stata da sempre annoverata tra le parole con le principali traslazioni di significato”. I latini la chiamavano dissimulatio o illusio o ancora permutatio verborum.
Fu Cicerone a riferirsi ad essa con il corrispettivo termine greco eironéia cioè finzione, ironia. Eiron significa letteralmente ’colui che interroga, fingendo di non sapere’. Da qui l’equivoco e l’ambiguità che contraddistinguono il significato che evoca tale parola.
La possibilità quindi che l’ironia non sia capita o ancor peggio sia male interpretata è non solo possibile ma addirittura nella sua natura profonda.
Non ci possiamo fare nulla. È tutto in mano alla bizzarria o il gusto beffardo del caso? Terribile conferma. I modi di dire hanno una loro verità profonda!
Ma che rabbia!
Primo per dover affrontare un compito non scelto.
Secondo perché in questo modo il compito diventava impossibile: «se il tutto si riduce al caso, diventa improponibile!!»
Mi soccorre Pirandello! "L’ironia è una contraddizione fittizia tra quel che si dice e quel che si vuole sia inteso"

E qui cominciamo a ragionare.
Allora l’intonazione della voce, la mimica facciale, il ritmo e la gestualità che accompagnano comunemente i motti di spirito sono elementi da “usare” con abilità per evitare che il caso abbia il sopravvento. Occorre avere una cassetta di attrezzi ben fornita!
E qui comincia ad essere interessante.
La decodifica interessa quindi, non soltanto il significato letterale del discorso sottoposto a ironia, ma soprattutto il metalinguaggio, il suo secondo livello, quello in cui divengono consapevoli la polemica, la discussione, il contrasto nei confronti di quel primo pensiero.
Colui che si serve dell’ironia propone quindi un "gioco" all’interlocutore, il quale per parteciparvi e per godere dei suoi effetti socializzanti deve attingere ad abitudini, esperienze e circostante che accomunano da vicino se stesso e l’altro.
“Il processo di comprensione dell’ironia prevede due momenti: quello della decodifica degli indicatori di intenzione ironica (linguaggio non verbale), che portano al rifiuto del senso letterale, e quello che comporta la ricostruzione del significato sottostante". (M. Mizzau – L’ironia)
L’ironia è quindi possibile solo se le due persone hanno una “storia” comune.
Chi ad esempio non è a conoscenza degli antefatti o delle circostanze da cui una "battuta" si è generata è inesorabilmente e escluso dal "gioco".
Tante volte vi sarà capitato di rimanere sorpresi tra amici amici che ridevano per qualcosa che non avevo assolutamente colto. Ecco, in quel caso non conoscevate le regole del "gioco", cioè non avevate tutti i mezzi per decodificare il motto di spirito. Avrete avvertito un senso di esclusione da parte degli altri, che più o meno inconsciamente non vi hanno coinvolto. L’ironia è un mezzo molto sofisticato, sottile e colmo di variabili: con essa si può ferire, attaccare , sfogare rabbie a spese degli altri. Lo scarto tra una battuta cordiale, una frase sarcastica e un’ intervento velato di cinismo non è così ampio.
C’è un’ironia che crea, vivifica e avvicina, un’altra che ferisce, svuota e divide.
Così ora sorrido dell'ironia della vita e un po' meno se mi accorgo che non riesco a sorridere con gli altri.
martedì 8 marzo 2011
Inventare il Mondo.
"Il mondo è pieno di taglialegna
che scacciano le dolci driadi dell'amore dalle dimore della vita
e tormentano usignoli in ogni valle."
Percy Bysshe Shelley
Due storie. Lontane. Diverse. Apparentemente non c'entrano niente l'una con l'altra. Eppure l''una mi richiama l'altra. Non riesco a pensare alla prima senza la seconda e viceversa. Allora mi soffermo un po' e provo a distinguerle.
Una riguarda il mondo. L'altra si svolge in una piccola provincia.
La prima è una storia conosciuta da tutti. E' raccontata da tutte le televisioni, sui giornali, su internet, nei social network. Non c'è bisogno di entrare nei dettagli. E' una storia di giovani che scendono nelle piazze per chiedere libertà. Chiedono di poter contare, di avere un futuro più dignitoso. E' un impulso individuale che è diventato un grande sentimento collettivo. E' una storia che si svolge di giorno e di notte e senza interruzione va avanti, inarrestabile.
La seconda è una storia privata, che mi è stata raccontata in una piccola stanza, e per farvela conoscere debbo entrare un po' nei dettagli.
E' una storia di donne e mamme i cui figli frequentano tutti la stessa classe, la terza, della stessa scuola elementare. Una storia semplice, che nasce dalla voglia e dal bisogno di stare insieme. Così queste donne, ogni tanto escono e cercano un locale dove passare alcune ore a parlare. Non spesso. All'inizio una volta, l'anno successivo due volte, quest'anno chissà, dipende... . Dopo essere state in alcune pizzerie nasce la voglia di qualcosa di diverso, non solo chiacchiere ma anche qualcosa da fare insieme, che faciliti il conoscersi anche oltre la dimensione "seduti davanti ad una pizza". Si informano e trovano un annuncio di un locale che sembra fare al caso loro. Si cena e poi c'è il Karaoke! Il nome del locale è un tantino strano, sembra uno di quei posti dove paghi per essere oggetto di piccole burle. Si tergiversa un po'. Poi una vede la pubblicità del locale in una TV privata e richiama le solite timorose: "Ma smollatevi un po'!"
Prenotano. Si perchè nelle tre sere settimanali di apertura si registra sempre il tutto esaurito. E poi loro sono 12, forse anche 14!
Arrivano, il locale è ancora vuoto. Sono le prime. Colpisce l'arredamento un po' bizzarro. In particolare l'etilometro. Una statua con l'organo maschile eretto e le istruzioniper l'uso, proprio lì.... , si guardano intorno, altri organi maschili in varie rappresentazioni. Perplesse si siedono e immediatamente una pioggia di noccioline americane le investe: "Tenete scimmie!!!" e giù a ridere (coloro che hanno tirato le noccioline, naturalmente!). Questo più che la statua le infastidisce, però c'è chi dice aspettiamo, vediamo. Arrivano i camerieri per le ordinazioni, si sideono vicino a loro e passando da una all'altra per presentare il menù accompagnano l'elenco dei piatti con parole "dolci" per ognuna di loro del tipo "ciao bella tro.." "tu li fai bene i pomp... vero!" "che gran zocco.. che sei!" ed altri apprezzameti. Si può reagire in molti modi, davanti a queste volgarità che divertono solo i gestori. Anche la paralisi è una reazione. La sorpresa è talmente elevata, fuori da ogni immaginazione, che nessuna riesce a dire "Basta!!" Resistono, anche perchè due di loro le avrebbero raggiunte dopo cena, giusto per il karaoke.
Il locale si riempie e sorpresa, sono quasi tutte donne! Poi però, "alla decenza c'è un limite!"Informano chi le deve raggiungere ed escono. E proprio mentre escono, con grande anticipo rispetto al programma della serata, ecco il finale che non ti aspetti... forse! Un gestore le avvicina e con estrema tranquillità, con i soliti complimenti le lascia l'invito per l'apertura della nuova sede, fra qualche settimana. Sì perchè ormai lì ci stanno stretti, la richiesta è in aumento!
Mi ritorna quindi la domanda iniziale. Cos'hanno in comune le due storie? La speranza e la libertà da un lato e la frammentazione e la volgarità dall'altra. La voglia di cambiare e lottare per un mondo migliore i primi, e i mille interrogativi e le possibili risposte della seconda (il bisogno di una rottura con una realtà insoddisfacente? Un club esclusiovo dove divertersi tra simili senza tenere conto dell'altro rompiscatole?).
Forse, mi dico, l'unica cosa che hanno davvero in comune è il fatto che sono accadute entrambe in questo mondo. E forse è proprio questo di cui mi parlano in maniera quasi stridente. D'altra parte il mondo è fatto di opposti, di cose che senbrano non c'entrare niente l'una con l'altra.
Le parole di per sè anno un senso e allora vado alle origini...
Mundus in latino, Kosmos in greco sono termini che tra i loro significati principali indicano: umanità, ornamento, abbellimento...
Il mondo ci chiede attenzione, ma quale?
Credo che ci sia una sottile differenza tra i mondi che costituiscono la molteplicità degli ambienti oggettivi e soggettivi degli umani (le due storie) e il Mondo.
Il mondo può essere la sede degli esseri umani, dove ognuno agisce la propria idea di mondo liberamente.
Oppure la sede dove, lo stile di vita, il comportamento, i desideri di ognuno diventano forze che attraggono e tenguno unite le varie soggettività.
C'è un mondo con la m minuscola e i nomi degli individui e degli stati con la lettera maiuscola, dove prevale l'interesse del singolo individuo, stato, regione, oppure un Mondo con la m maiscola che diventa la casa di tutti.
E' complicato?
Sicuramente si!
Possiamo rimandare ancora?
No, è la mia risposta.
E' questo Mondo che dobbiamo ancora inventare.
Forse, per me.
Di sicuro, per tutti.
martedì 22 febbraio 2011
C'era una volta l'Italia ?
E' di questi giorni la polemica sulla festa per la celebrazione dei 150 anni dell'unità d'Italia. Ora è stato deciso: ll 17 marzo sarà un giorno festivo! Le scuole saranno chiuse, gli uffici pubblici anche, non si lavorerà (forse!). E' stato un lungo dibattito. Per alcuni senza senso: «In fondo si tratta solo di un giorno!». Per altri «E' pura follia! Per un Paese che ha il primo debito pubblico europeo e il terzo a livello mondiale e in più farlo in un momento di crisi economica internazionale...». Per altri ancora è stata e sarà l'occasione per mettersi in evidenza, ribadire la propria diversità: «Sarà una giornata di lutto, non di festa!», e dimostrare la propria abnegazione al lavoro: «Andrò a lavorare e lavorerò con più impegno degli altri giorni!!».
Mi pare che tutto questo cia dia indicazioni precise sullo "stato" dl nostro sentirci italiani.
La costruzione di un sentimento comunitario è il frutto di percorsi lunghi e non sempre facili. Il passaggio dal Paese dei Comuni, delle cento (mille) città a Nazione Italia ritengo non si sia ancora completato.
Siamo sempre stati una nazione divisa, frammentata che coglie ogni occasione per dimostrarlo: dalla formazione della nazionale, alle scelte di politica economica e sociale, alla forma di Stato. In tutti questi casi, tranne poche eccezioni, le divisioni, utili e necessarie nella fase del dibattito e del confronto, rimangono tali e non arrivano mai ad una sintesi finale, nella quale far confluire quanto di meglio ogni posizione ha espresso. Semmai il contrario.
Siamo così giunti al paradossso che L'Italia dei Comuni, delle Autonomie, oggi, è un Paese altamente centralizzato e altamente frammentato. Dove ognuno corre per conto proprio, anche se con molti vincoli e molti ostacoli posti dallo Stato centrale e dal controllo burocratico.
E' evidente che il sentimento nazionale va oltre la celebrazione di una festività.
I riti sociali però sono importanti. La dimensione rituale rende prevedibile e densa la vita sociale, perché ne costituisce il ritmo e la forma. Mettere in discussione una festività la rende meno prevedibile e può movimentare le relazioni all'interno delle comunità.
Questo può non essere un male. Può persino essere utile, se tutto questo permettesse di affrontare i nodi irrisolti di questo paese. Può farci fare quel salto che ci aiuti a diventare (finalmente!) una nazione adulta, che non litiga per le merendine e si fa i dispetti nei corridoi.
Altrimenti forse è meglio raccontare la storia di quando... c'era una volta l'Italia.
Mi pare che tutto questo cia dia indicazioni precise sullo "stato" dl nostro sentirci italiani.
La costruzione di un sentimento comunitario è il frutto di percorsi lunghi e non sempre facili. Il passaggio dal Paese dei Comuni, delle cento (mille) città a Nazione Italia ritengo non si sia ancora completato.
Siamo sempre stati una nazione divisa, frammentata che coglie ogni occasione per dimostrarlo: dalla formazione della nazionale, alle scelte di politica economica e sociale, alla forma di Stato. In tutti questi casi, tranne poche eccezioni, le divisioni, utili e necessarie nella fase del dibattito e del confronto, rimangono tali e non arrivano mai ad una sintesi finale, nella quale far confluire quanto di meglio ogni posizione ha espresso. Semmai il contrario.
Siamo così giunti al paradossso che L'Italia dei Comuni, delle Autonomie, oggi, è un Paese altamente centralizzato e altamente frammentato. Dove ognuno corre per conto proprio, anche se con molti vincoli e molti ostacoli posti dallo Stato centrale e dal controllo burocratico.
E' evidente che il sentimento nazionale va oltre la celebrazione di una festività.
I riti sociali però sono importanti. La dimensione rituale rende prevedibile e densa la vita sociale, perché ne costituisce il ritmo e la forma. Mettere in discussione una festività la rende meno prevedibile e può movimentare le relazioni all'interno delle comunità.
Questo può non essere un male. Può persino essere utile, se tutto questo permettesse di affrontare i nodi irrisolti di questo paese. Può farci fare quel salto che ci aiuti a diventare (finalmente!) una nazione adulta, che non litiga per le merendine e si fa i dispetti nei corridoi.
Altrimenti forse è meglio raccontare la storia di quando... c'era una volta l'Italia.
martedì 1 febbraio 2011
Per una ecologia delle idee!
Successe in India. Tanto tempo fa...
Una storia che conoscerete ma che orgnuno di noi ritrova spesso nella propria quotidianità. Una storia in cui religiosi, dotti e scienziati litigavano furiosamente, si accapigliavano, si offendevano. Ognuno pensava che era giusto ciò che diceva lui e sbagliato quello che diceva un altro.
Nonostante fossero tutte persone molto colte e istruite ognuno però usava la sua sapienza per offendere con le parole l’altro.
Insomma in questo paese, regnava una grande confusione.
A questo punto, come spesso accade in queste antiche storie, entra in scena il saggio.
Il nostro amico, saputo di quello strano conflitto, pensava che era buffo che persone così intelligenti e profonde non riuscissero a trovare un accordo e che fossero convinte che la loro verità fosse così giusta da offendere quella dell’altro. Così decise di raccontare loro una storia.
La storia che raccontò era quella di un gruppo di ciechi e di un elefante.
E la storia diceva così.
Un re in un tempo molto antico, in questa stessa città mandò a chiamare tutti coloro che erano nati ciechi. Dopo che questi si furono raccolti in una piazza mandò a chiamare il proprietario di un elefante a cui fece portare in piazza l’animale. Poi chiamando a uno a uno i ciechi disse loro:
«questo è un elefante, secondo te a cosa somiglia?»
E uno diceva una caldaia, un altro un mantice a seconda della parte dell’animale che gli era stata fatta toccare. Un altro toccava la proboscide e diceva il ramo di un albero. Per uno le zanne erano un aratro. Per un altro il ventre era un granaio. Chi aveva toccato le zampe le aveva scambiate per le colonne di un tempio, chi aveva toccato la coda aveva detto la fune di una barca, chi aveva messo la mano sull’orecchio aveva detto un tappeto.
Quando ognuno incontrò l’altro dicendo quello a cui secondo lui somigliava l’animale discutevano animatamente perché ognuno era convinto assolutamente di quello che aveva toccato. Naturalmente se uno diceva un mantice e l’altro una caldaia volavano gli insulti perché nessuno metteva in dubbio quello che aveva sentito toccando la parte del corpo dell’elefante. Il re vedendoli così convinti della loro sicurezza e litigiosi si divertiva un mondo!
Dopo che il saggio Maestro ebbe finito di raccontare questa storia disse: «Miei dotti amici, voi fate la stessa cosa. Non sapete ciò che è giusto e ciò che è sbagliato né ciò che è bene e ciò che è male e per questo litigate, vi accapigliate e vi insultate. Se ognuno di voi parlasse e ascoltasse l’altro contemporaneamente la verità vi apparirebbe come una, anche se ha molte forme ».
I saggi sono sempre molto ragionevoli e giudiziosi!
Fare sintesi è faticoso, impegnativo. Occorre avere voglia di faticare per questa "verità"!
Oggi è una responsabilità a cui non ci si può più sottrarre. E' una "ecologia della mente" (e delle persone) che non è più possibile rimandare. Così come l'inquinamento deve essere combattuto affinchè non provochi alterazioni ambientali sfavorevoli alla vita, anche le idee che non si armonizzano con le altre, debbono "morire" per evitare che il degrado ambientale si diffonda ulteriormente.
Una storia che conoscerete ma che orgnuno di noi ritrova spesso nella propria quotidianità. Una storia in cui religiosi, dotti e scienziati litigavano furiosamente, si accapigliavano, si offendevano. Ognuno pensava che era giusto ciò che diceva lui e sbagliato quello che diceva un altro.
Nonostante fossero tutte persone molto colte e istruite ognuno però usava la sua sapienza per offendere con le parole l’altro.
Insomma in questo paese, regnava una grande confusione.
A questo punto, come spesso accade in queste antiche storie, entra in scena il saggio.
Il nostro amico, saputo di quello strano conflitto, pensava che era buffo che persone così intelligenti e profonde non riuscissero a trovare un accordo e che fossero convinte che la loro verità fosse così giusta da offendere quella dell’altro. Così decise di raccontare loro una storia.
La storia che raccontò era quella di un gruppo di ciechi e di un elefante.
E la storia diceva così.
Un re in un tempo molto antico, in questa stessa città mandò a chiamare tutti coloro che erano nati ciechi. Dopo che questi si furono raccolti in una piazza mandò a chiamare il proprietario di un elefante a cui fece portare in piazza l’animale. Poi chiamando a uno a uno i ciechi disse loro:
«questo è un elefante, secondo te a cosa somiglia?»
Quando ognuno incontrò l’altro dicendo quello a cui secondo lui somigliava l’animale discutevano animatamente perché ognuno era convinto assolutamente di quello che aveva toccato. Naturalmente se uno diceva un mantice e l’altro una caldaia volavano gli insulti perché nessuno metteva in dubbio quello che aveva sentito toccando la parte del corpo dell’elefante. Il re vedendoli così convinti della loro sicurezza e litigiosi si divertiva un mondo!
Dopo che il saggio Maestro ebbe finito di raccontare questa storia disse: «Miei dotti amici, voi fate la stessa cosa. Non sapete ciò che è giusto e ciò che è sbagliato né ciò che è bene e ciò che è male e per questo litigate, vi accapigliate e vi insultate. Se ognuno di voi parlasse e ascoltasse l’altro contemporaneamente la verità vi apparirebbe come una, anche se ha molte forme ».
I saggi sono sempre molto ragionevoli e giudiziosi!
Fare sintesi è faticoso, impegnativo. Occorre avere voglia di faticare per questa "verità"!
Oggi è una responsabilità a cui non ci si può più sottrarre. E' una "ecologia della mente" (e delle persone) che non è più possibile rimandare. Così come l'inquinamento deve essere combattuto affinchè non provochi alterazioni ambientali sfavorevoli alla vita, anche le idee che non si armonizzano con le altre, debbono "morire" per evitare che il degrado ambientale si diffonda ulteriormente.
mercoledì 19 gennaio 2011
Dì la cosa giusta!!! Raccontare storie una difficile responsabilità.
Anche uno spot pubblicitario è una forma di narrazione e c'è uno spot che ha fatto e fa molto discutere.
http://www.greenpeace.it/blog/?p=1784&utm_source=Email&utm_medium=Email&utm_campaign=Email
In questo spot, come molto spesso accade negli spot TV è presente una voce narrante. Molto spesso è compito della voce narrante dare ritmo e forza alla narrazione. La voce dà all’immagine un senso che spesso va al di là di ciò che dice. La voce narrante porta un proprio potenziale di seduzione sonora. Questo non è certo una novità. Tutti noi consociamo il potere della voce nella narrazione e abbiamo probabilmente speriementato i suoi effetti raccontando storie ai nostri figli.
Sulla struttura narrativa di uno spot pubblicitario agiscono anche le immagini, la musica e i colori.
Questo fa dello spot uno strumento di narrazione "completo" e di grande penetrazione.
Chi lo costruisce è ben consapevole delle potenzialità dello strumento ed è abile nel gestire i vari codici.
Il messaggio può essere concepito affinchè giunga in modo chiaro e preciso a destinazione oppure si può scegliere come forma narrativa quella dell'ambiguità.
Nel secondo caso sarebbe opportuno che si trattasse di un'ambiguità voluta e alimentata, volta a demandare abilmente allo spettatore la responsabilità della decifrazione finale del messaggio.
Personalmente appena ho terminato la visione dello spot la prima volta ho avvertito una sensazione di confusione. Non ne capivo il senso e soprattutto mi sembrava poco chiaro, ambiguo appunto. Forse, mi son detto, ero distratto e ho perso qualche passaggio... è quindi aumentata in me l'attesa per rivedere lo spot.
La seconda visione non mi ha chiarito i dubbi. E' anzi aumentata in me la convinzione di ambiguità.
Ho cominciato ad informarmi e ad approfondire e colegandomi al sito del Forum Nucleare Italiano ho letto che scopo del forum è quello di favorire il dibattito e la conoscenza rispetto al tema della produzione di energia nucleare nel nostro paese.
Il messaggio che emerge dallo spot non è però questo!
Certo pretendere la coerenza assoluta è un'utopia. Ma questo non giustifica gli "errori" di questo tipo.
C'è un'evidente incongruenza tra il cosa voglio comunicare (voglio stimolare un confronto, favorire una conoscenza approfondita, essere uno spazio "neutro") e il come lo comunico (i contenuti espressi da chi muove il bianco sono "buoni" mentre quelli espressi da chi muobve il nero sono "cattivi").
Come si può pretendere il confronto se dico già ciò che è bene e ciò che è male... se so già quali sono le conclusioni del "dibattito"?
L'ambiguità è in questo caso la vera nemica del dialogo. E un dibattito senza dialogo è un'ossimoro.
L'ambiguità non affida la responsabilità dell'interpretazione al destinatario. Anzi così facendo ne vuole inibire le capacità. Dietro un primo messaggio rassicurante, che ha lo scopo di far "aprire le porte" allo spettatore, si cela un secondo messaggio (il principale) che agisce a livello inconscio. Immagini, colori e audio entrano nella sfera sensoriale e sfuggono all'interpretazione cosciente forzando così la volontà degli spettatori.
P.S.: alcuni siti hanno segnalato la scorrettezza di questa campagna. Ecco un link per chi fosse interessato ad approfondire.
http://www.greenpeace.it/blog/?p=1784&utm_source=Email&utm_medium=Email&utm_campaign=Email
mercoledì 12 gennaio 2011
L'ingenua semplicità dell'abitudine.
C'è un uomo in una foresta, sotto la pioggia, e sta morendo di sete.
Ha con sé un'accetta e comincia a tirar giù gli alberi per bere la linfa.
Un sorso per ogni albero.
Intorno gli si fa il deserto, niente più piante e animali, e l'uomo sa che per colpa sua la foresta scomparirà presto.
Allora come si spiega che non apre la bocca e non si beve la pioggia?
Per il semplice motivo che è molto bravo a tirar giù alberi, perchè ha sempre fatto così e perché considera un po' suonato chi propone di bere la pioggia.
tratto da
Solar
I. McEwan
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