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martedì 22 febbraio 2011

C'era una volta l'Italia ?

E' di questi giorni la polemica sulla festa per la celebrazione dei 150 anni dell'unità d'Italia. Ora è stato deciso: ll 17 marzo sarà un giorno festivo! Le scuole saranno chiuse, gli uffici pubblici anche, non si lavorerà (forse!). E' stato un lungo dibattito. Per alcuni senza senso: «In fondo si tratta solo di un giorno!». Per altri «E' pura follia! Per un Paese che ha il primo debito pubblico europeo e il terzo a livello mondiale e in più farlo in un momento di crisi economica internazionale...». Per altri ancora è stata e sarà l'occasione per mettersi in evidenza, ribadire la propria diversità: «Sarà una giornata di lutto, non di festa!», e dimostrare la propria abnegazione al lavoro: «Andrò a lavorare e lavorerò con più impegno degli altri giorni!!».

Mi pare che tutto questo cia dia indicazioni precise sullo "stato" dl nostro sentirci italiani. 


La costruzione di un sentimento comunitario è il frutto di percorsi lunghi e non sempre facili. Il passaggio dal Paese dei Comuni, delle cento (mille) città a Nazione Italia ritengo non si sia ancora completato. 
Siamo sempre stati una nazione divisa, frammentata che coglie ogni occasione per dimostrarlo: dalla formazione della nazionale, alle scelte di politica economica e sociale, alla forma di Stato. In tutti questi casi, tranne poche eccezioni, le divisioni, utili e necessarie nella fase del dibattito e del confronto, rimangono tali e non arrivano mai ad una sintesi finale, nella quale far confluire quanto di meglio ogni posizione ha espresso. Semmai il contrario.

Siamo così giunti al paradossso che L'Italia dei Comuni, delle Autonomie, oggi, è un Paese altamente centralizzato e altamente frammentato. Dove ognuno corre per conto proprio, anche se con molti vincoli e molti ostacoli posti dallo Stato centrale e dal controllo burocratico.
 
E' evidente che il sentimento nazionale va oltre la celebrazione di una festività.

I riti sociali però sono importanti. La dimensione rituale rende prevedibile e densa la vita sociale, perché ne costituisce il ritmo e la forma. Mettere in discussione una festività la rende meno prevedibile e può movimentare le relazioni all'interno delle comunità. 

Questo può non essere un male. Può persino essere utile, se tutto questo permettesse di affrontare i nodi irrisolti di questo paese. Può farci fare quel salto che ci aiuti a diventare (finalmente!) una nazione adulta, che non litiga per le merendine e si fa i dispetti nei corridoi. 

Altrimenti forse è meglio raccontare la storia di quando... c'era una volta l'Italia.

martedì 1 febbraio 2011

Per una ecologia delle idee!

Successe in India. Tanto tempo fa...
Una storia che conoscerete ma che orgnuno di noi ritrova spesso nella propria quotidianità. Una storia in cui religiosi, dotti e scienziati litigavano furiosamente, si accapigliavano, si offendevano. Ognuno pensava che era giusto ciò che diceva lui e sbagliato quello che diceva un altro.
Nonostante fossero tutte persone molto colte e istruite ognuno però usava la sua sapienza per offendere con le parole l’altro.
Insomma in questo paese, regnava una grande confusione.
A questo punto, come spesso accade in queste antiche storie, entra in scena il saggio.
Il nostro amico, saputo di quello strano conflitto, pensava che era buffo che persone così intelligenti e profonde non riuscissero a trovare un accordo  e che fossero convinte che la loro verità fosse così giusta da offendere quella dell’altro.  Così decise di raccontare loro una storia.
La storia che raccontò era quella di un gruppo di ciechi e di un elefante.
E la storia diceva così.
Un re in un tempo molto antico, in questa stessa città mandò a chiamare tutti coloro che erano nati ciechi. Dopo che questi si furono raccolti in una piazza mandò a chiamare il proprietario di un elefante a cui fece portare in piazza l’animale. Poi chiamando a uno a uno i ciechi disse loro:
«questo è un elefante, secondo te a cosa somiglia?»

E uno diceva una caldaia, un altro un mantice a seconda della parte dell’animale che gli era stata fatta toccare. Un altro toccava la proboscide e diceva il ramo di un albero. Per uno le zanne erano un aratro. Per un altro il ventre era un granaio. Chi aveva toccato le zampe le aveva scambiate per le colonne di un tempio, chi aveva toccato la coda aveva detto la fune di una barca, chi aveva messo la mano sull’orecchio aveva detto un tappeto.
Quando ognuno incontrò l’altro dicendo quello a cui secondo lui somigliava l’animale discutevano animatamente perché ognuno era convinto assolutamente di quello che aveva toccato. Naturalmente se uno diceva un mantice e l’altro una caldaia volavano gli insulti perché nessuno metteva in dubbio quello che aveva sentito toccando la parte del corpo dell’elefante. Il re vedendoli così convinti della loro sicurezza e litigiosi si divertiva un mondo!
Dopo che il saggio Maestro ebbe finito di raccontare questa storia disse: «Miei dotti amici, voi fate la stessa cosa. Non sapete ciò che è giusto e ciò che è sbagliato né ciò che è bene e ciò che è male e per questo litigate, vi accapigliate e vi insultate. Se ognuno di voi parlasse e ascoltasse l’altro contemporaneamente la verità vi apparirebbe come una, anche se ha molte forme ».
I saggi sono sempre molto ragionevoli e giudiziosi!
Fare sintesi è faticoso, impegnativo. Occorre avere voglia di faticare per questa "verità"!
Oggi è una responsabilità a cui non ci si può più sottrarre. E' una "ecologia della mente" (e delle persone) che non è più possibile rimandare. Così come l'inquinamento deve essere combattuto affinchè non provochi  alterazioni ambientali sfavorevoli alla vita, anche le idee che non si armonizzano con le altre, debbono "morire" per evitare che il degrado ambientale si diffonda ulteriormente.