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martedì 10 gennaio 2012

Una storia di ordinaria follia

Burt è un uomo semplice, capace, un po' folle e mette passione in quello che fa. La sua storia è raccontata in un film Indian - La grande sfida.




Burt Munro (Anthony Hopkins) è un ultra sessantenne che vive in Nuova Zelanda e ha un sogno: realizzare il record del mondo di velocità su terra con le due ruote nel circuito di Bonneville nello Utah (Stati Uniti). Per questo ha a disposizione la sua moto, una vecchia Indian USA carenata, prodotta negli anni Cinquanta.
Ho visto il film quasi per caso, durante le festività natalizie.
Dopo cena a volte succede di lasciare accesa la TV dove capita, intanto che si riassetta la cucina. Il più delle volte dopo un po', rimesso in ordine, o si cambia canale o si spegne la TV.
Le prime immagini erano passate quasi inosservate.
Il film parla di moto, motociclisti, motori... non è mai stata una mia passione. L'unica volta che sono salito su un motorino è stato dai 14 ai 17 anni. Ripresa diretta e una particolarità: non potevo fare un tratto di strada più lunga di 4 km senza fermarmi e lasciarlo raffreddare, pena lo spegnimento graduale e automatico dello stesso. Per ripartire occorreva un'accurata pulizia delle candele. Fortuna voleva che la scuola si trovava in questo raggio d'azione e quindi era perfetto, in quanto questa era l'unica occasione in cui era indispensabile.
Quasi magicamente però mi accorgo che la storia o meglio il personaggio di Burt mi cattura, mi tira dentro. Non è più solo un film per appassionati di motociclismo. Burt comincia ad assumere caratteristiche “universali”.
All’inizio è chiaro che nessuno dei suoi paesani crede in lui. Nessuno tranne un ragazzino, archetipo del "folle" proprio perché l’infanzia è all’origine della vitalità primitiva, spontanea, giocosa. Però Burt è padrone della sua follia. E’ una follia misurata. E’ sì energia amorale, anarchica, irriverente, che fà saltare classificazioni e confini. E’ forza e motore per esplorare il mondo. Energia positiva che si trasforma in curiosità, gioia di creare, di vivere il presente per quello che è, senza preoccuparsi del domani e incuranti delle convenzioni, della morale tradizionale, di quello che diranno i vicini. E’ si tutto questo ma coniugata con un rispetto e un’attenzione agli altri pura, senza secondi fini, senza rabbia, rivalsa, bisogno di dominare.
Come dice lo stesso Burt - citando Theodore Roosevelt: "... il merito va a chi ha il coraggio di scendere nell'arena".
Burt parte e si mette on the road: e solo compiere questo primo passo è un'impresa.
La sua vera follia sta qui: nel coraggio di progettare la propria impresa, contando sulle proprie capacità tecniche e guidato dalla sua sensibilità e da un atteggiamento di empatia nei confronti delle persone che incontra nel suo viaggio, verso il suo obiettivo.
Munro è infatti folle, ma anche capace, competente, esperto. La sua è una conoscenza pratica, vissuta, conosce tutto delle moto, dei motori, dell’aereodinamica e di tutto ciò che riguarda la velocità.
Il suo viaggio sino agli Stati Uniti è lungo e avventuroso per uno come Burt che si è mosso dalla Nuova Zelanda solo quando era stato soldato nel Primo conflitto mondiale.
Burt è folle, capace ma ha anche competenze sociali. Entra nel mondo della complessità e dimostra che se affronti le sfide senza pregiudizi e attivando i “nodi” giusti tutti i problemi e le difficoltà si possono superare.
Burt chiede aiuto apertamente per se per il suo progetto. Nella sua comunicazione c'è un implicito che coincide con l'esplicito, nulla di nascosto. Questo rassicura. Nessun secondo fine. Solo il suo sogno, la sua passione, quello che ha desiderato da 25 anni, gareggiare con la sua moto sul circuito di Bonneville. Questo rende le sue richieste di aiuto credibili, ed efficaci, attivando sempre le persone giuste alle quali si rivolge. Oggi diremmo un vero esperto di networking mindset.

 

domenica 18 settembre 2011

Alva Noë al Festival Filosofia 2011: Coscienza e Cervello



Alva Noë è professore di Filosofia presso l’Università della California a Berkeley. Si è occupato di teoria della coscienza e della percezione, giungendo a formulare una prospettiva degli eventi di coscienza che non si fonda sulla visione neuroscientifica del cervello, bensì sull’idea di un farsi della coscienza in rapporto con il mondo. Si è inoltre dedicato a studi sui rapporti tra le arti e le neuroscienze. In italiano è disponibile: Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza (Milano 2010). Tra i suoi altri lavori: Vision and Mind (con E. Thompson, Cambridge, Mass. 2002); Action in Perception (Cambridge, Mass. 2004).


mercoledì 6 luglio 2011

La voce ci racconta

La sua voce qui era solitaria, triste e preoccupata, questo è il jazz, questa è la narrazione.
Il produttore dell'album ha detto che la sua voce era rovinata, ma ha voluto pubblicare l'intera sessione.
La verità è che questa è la migliore voce che avesse mai avuto.
Tutta la rabbia, il dolore e la tristezza che si era accumulata nel suo cuore, è uscita, nella sua voce.
La storia dice che le lacrime le rigavano il viso mentre questa canzone è stata riprodotta per lei in studio.
Era autenticamente perfetta.
Una vibrazione che possiamo sentire, nelle ossa, come qualcosa di... diverso!




Negra? Non si vede?
Cantante? Ascoltami e vedrai
Puttana? Sì, ho fatto anche quello
E bevo anche come quattro uomini
Non mi fai paura, ho suonato in posti peggiori di questo
In bar di cow boys nel sud dove mi sputavano addosso
In una città dove il giorno stesso avevano linciato un nero
A New Orleans dove un diavolo alla moda
Ogni sera mi regalava fiori di droga
E a Chicago mi innamorai di un trombettista sifilitico
E all’uscita del night mi hanno spaccato la bocca
Sotto la pioggia da una stazione all’altra
Lady sings the blues

Negra? Sì, ma ci sono abituata
Cantante? Canto come una gabbia di uccelli
Note gravi e alte, e tutto il repertorio
Posso svolazzare come quelle belle cantanti dei film
E poi posso piantarti una ballata nel cuore
Vuoi strange fruit? Vuoi midnight train?
Posso cantartela anche da ubriaca
O con un coltello nella schiena
O piena di whisky e altro, perché sono una santa
E il mio altare è nel fumo di questo palco
Dove Lady sings the blues

Negra? Negra e bellissima, amico
Cantante? Non so fare altro
Puttana? Beh sì ho fatto anche quello
E bevo come quattro uomini
Non toccarmi o ti graffio quella bella bianca faccia
Posate il bicchiere, aprite quel poco che avete di cuore
State zitti e ascoltate io canto
Come se fosse l’ultima volta
Fate silenzio, bastardi e inchinatevi
Lady sings the blues

E quando tornerete a casa dite
Ho sentito cantare un angelo
Con le ali di marmo e raso
Puzzava di whisky era negra puttana e malata
Dite il mio nome a tutti, non mi dimenticate
Sono la regina di un reame di stracci
Sono la voce del sole sui campi di cotone
Sono la voce nera piena di luce
Sono la lady che canta il blues
Ah, dimenticavo... e mi chiamo Billie
Billie Holiday

Inedito di Stefano Benni

martedì 31 maggio 2011

L'ironia al servizio della leggerezza?

Solo per citare i casi più recenti:
Madalon, Il libro mai scritto ma che tutti i big della cultura hanno letto (vedi:  http://www.youtube.com/watch?v=aFvjR-BibXg )
al fenomeno di Sucate sul Membro

per continuare con tutta una serie di hashtag su twitter: #dilloaobama, #masiampazzi e lo stesso #sucate; sono diventati tutti luoghi in cui l'ironia è l'espressione e la condizione di accesso. Credo inoltre che questi fenomeni, seppur limitati, se valutiamo il totale complessivo delle persone, siano, se prendiamo a riferimento i giovani e alcuni gruppi sociali, di una certa rilevanza e di tendenza.
Questa mattina accompagnando mio figlio a scuola, ho avuto l'occasione dia scoltare diversi commenti sui ballottaggi che si sono svolti ieri. Mi ha colpito il commento di Ezio Mauro. Dice che l'arma vincente della sinistra a queste elezioni è stata l'ironia e la leggerezza.
Provo allora a riflettere, a posteriori, su su alcune immagini e sensazioni che mi tornanano alla mente. Naturalmente sono consapevole che il tutto è filtrato dalla televisione e dalla parzialità dell'analisi riferita ai due candidati delle due città più seguite dai media, Milano e Napoli. Senza pretese di fare affermazioni assolute e valide scientificamente ecco cosa mi ha colpito. Parto dalla leggerezza.
Le facce di questi due leader non esprimevano la pesantezza di altri momenti. Hanno prevalso i sorrisi ai "musoni" accigliati e incazzati.
Agli attacchi non è stato risposto con una escalation di toni: ulteriori provocazioni, insistenza e accanimento. Non c'è stata nemmono indiffernza. Si è risposto in modo sicuro, argomentato e sintetico.
E' mancato un "controllo" sui candidati locali da parte dei leader nazionali, che anche quando sono intervenuti non hanno innescato le immancabili polemiche tra le diverse "fazioni".
Passo all'ironia.
Significativa la risposta all'accusa della Moratti a Pisapia di aver rubato un'auto fatta a conclusione del primo "duello" TV. Dopo le prime frasi, con l'immancabile annuncio di querela, da parte di Pisapia, la vicenda ha percorso le strade più semplici e immediate dell'ironia. C'è stata l'"invasione" delle malefatte di Pisapia. Ricordo una per tutte la battuta di Crozza "Pisapia ha saputo della sua vittoria al primo turno mentre accidentalmente ha acceso l'autoradio sull'auto che stava rubando!!". Ma poi si è proseguito su questa strada alle accuse di terrorismo e sulle moschee. In particolare su Twitter si è scatenata una vera e propria onda di tweet che ironizzavano sulle vicende. Così come sulle affermazioni sui "comunisti senza cervello" e sulla "puzza perché non si lavano".
L'utilizzo dell'ironia da parte dei comici di professione non è cosa nuova. Credo che nuova sia la diffusione o meglio la "spinta" dal basso a cui abbiamo assistito. Ipotizzo che l'utilizzo dell'ironia sia stata opera diretta della gente comune, attraverso i social network, questo abbia influenzato l'approccio al problema da parte dei leader. Questi si sono sentiti "sostenuti" dai propri elettori e hanno lasciato a loro l'azione di "demolizione" di queste accuse senza doversene far carico in prima persona. Si sono sentiti scaricati di un peso. Più leggeri e quindi più sorridenti. Più leggeri e quindi più sicuri, sintetici, assertivi. E siamo tornati alla leggerezza. L'ronia al servizio della leggerezza e la leggerezza al servizio dell'ironia? Il candidato al servizio degli elettori e gli elettori al servizio dei candidati? Ma questo sarà, forse, un altro post.

giovedì 19 maggio 2011

CORPI NARRANTI: La metafora corporea

Molte delle metafore che inconsapevolmente usiamo per rappresentarci il mondo 
sono tratte dall’esperienza sensoriale e corporeo-spaziale:
"...gli rode il fegato"
"perdere la testa..."
"Dobbiamo stringere i denti!"
"saltare oltre l'ostacolo..."
... ... ...



Tradizionalmente la metafora nel linguaggio letterario è considerata  una figura retorica che implica un trasferimento di significato per creare immagini di forte carica espressiva e per questo usata ad esempio in poesia.
Nella linguistica cognitiva la metafora è definita come comprensione di un dominio concettuale in termini di un altro dominio concettuale. I processi di fondo di questa comprensione furono studiati negli anni 70 da Gorge Lakoff, a cui dobbiamo lo sviluppo del termine di metafora concettuale. Per Lakoff, i concetti astratti che noi adoperiamo sono largamente metaforici, risultato del fatto che la mente è incorporata (embodied mind) nel nostro sistema neurofisiologico.
Quando Lakoff parla di "mente incorporata", sostiene che quasi tutta la cognizione umana, fino al ragionamento più astratto, dipende e fa uso di strutture concrete e di "basso livello" quali il sistema sensorimotorio e le emozioni. Pertanto l' embodiment è un rifiuto non solo del dualismo cartesiano mente v. materia, ma anche della pretesa che la ragione umana possa essere essenzialmente compresa senza far riferimento ai "dettagli implementativi" di fondo.
Sulla base di ricerche di psicologia cognitiva e di alcune indagini nella filosofia del linguaggio, sostiene che pochissime delle categorie usate dagli esseri umani siano del tipo bianco o nero. Al contrario, la maggior parte delle categorie sarebbero molto più complicate e ambigue, proprio come i nostri corpi.  "Siamo esseri nervosi," sostiene Lakoff, "I nostri cervelli ricevono il loro input dal resto dei nostri corpi. I nostri corpi ed il modo in cui funzionano nel mondo strutturano i concetti che possiamo usare per pensare. Non possiamo pensare qualsiasi cosa - solo ciò che ci permettono i nostri cervelli incorporati."

venerdì 15 aprile 2011

Ironia della sorte!

Il senso popolare fa di “triste” un peggiorativo; l’allegria è il segno delle grandi cose, 
ma può essere ironia. 
(Mallarmé - Conversazioni)


L’ironia è il pudore dell’umanità
(Jules Renard, Diario)
L’ironia certamente non poté cominciare che da’ tempi della riflessione, 
perch’ella è formata dal falso in forma d’una riflessione che prende maschera di verità
(Giambattista Vico, La scienza nuova)
Per un po’ d’ironia si perde tutto!
(Quasimodo, In una città lontana)
L'ironia è uno sviluppo anormale che, come quello del fegato delle oche di Strasburgo, 
finisce per uccidere l'individuo. (Søren Kierkegaard, Diario)


La libertà comincia con l’ironia
(Hugo, Leggenda dei secoli)


Più penso alla vita umana, più mi convinco che bisogna darle per testimoni
e per giudici l’ironia e la Pietà.
(Anatole France, Il giardino di Epicuro)



Mi son trovato a studiare “l’ironia” mio malgrado. Ironia della sorte! Già, succede.
Mi è stato chiesto di lavorare alla progettazione del corso di formazione “Management e ironia” . Bhè è il mio lavoro! Eppure questa frase "ironia della sorte" tra tutte le citazioni precedenti è quella che più mi ha colpito. Perché? Bhé, forse mi infastidiva. Esprimeva in forma ironica una condizione reale. «Con tutte le cose che ho da fare! Mi debbo occupare anche dell’ironia! Non mi fa proprio ridere. E poi per ciò che sta accadendo in italia... nel mondo... non c’è proprio niente da ridere! Anzi ci sarebbe da incazzarsi!».
Era proprio vero. Ironia della sorte!
Se è così, che vuoi farci! E allora avanti!


In modo un po' svogliato scopro che “l’ironia è stata da sempre annoverata tra le parole con le principali traslazioni di significato”. I latini la chiamavano dissimulatio o illusio o ancora permutatio verborum.
Fu Cicerone a riferirsi ad essa con il corrispettivo termine greco eironéia cioè finzione, ironia. Eiron significa letteralmente ’colui che interroga, fingendo di non sapere’. Da qui l’equivoco e l’ambiguità che contraddistinguono il significato che evoca tale parola.
La possibilità quindi che l’ironia non sia capita o ancor peggio sia male interpretata è non solo possibile ma addirittura nella sua natura profonda.
Non ci possiamo fare nulla. È tutto in mano alla bizzarria o il gusto beffardo del caso? Terribile conferma. I modi di dire hanno una loro verità profonda!
Ma che rabbia!
Primo per dover affrontare un compito non scelto.
Secondo perché in questo modo il compito diventava impossibile: «se il tutto si riduce al caso, diventa improponibile!!»


Mi soccorre Pirandello! "L’ironia è una contraddizione fittizia tra quel che si dice e quel che si vuole sia inteso"




E qui cominciamo a ragionare.
Allora l’intonazione della voce, la mimica facciale, il ritmo e la gestualità che accompagnano comunemente i motti di spirito sono elementi da “usare” con abilità per evitare che il caso abbia il sopravvento. Occorre avere una cassetta di attrezzi ben fornita!
E qui comincia ad essere interessante.
La decodifica interessa quindi, non soltanto il significato letterale del discorso sottoposto a ironia, ma soprattutto il metalinguaggio, il suo secondo livello, quello in cui divengono consapevoli la polemica, la discussione, il contrasto nei confronti di quel primo pensiero.
Colui che si serve dell’ironia propone quindi un "gioco" all’interlocutore, il quale per parteciparvi e per godere dei suoi effetti socializzanti deve attingere ad abitudini, esperienze e circostante che accomunano da vicino se stesso e l’altro.


“Il processo di comprensione dell’ironia prevede due momenti: quello della decodifica degli indicatori di intenzione ironica (linguaggio non verbale), che portano al rifiuto del senso letterale, e quello che comporta la ricostruzione del significato sottostante". (M. Mizzau – L’ironia)


L’ironia è quindi possibile solo se le due persone hanno una “storia” comune.


Chi ad esempio non è a conoscenza degli antefatti o delle circostanze da cui una "battuta" si è generata è inesorabilmente e escluso dal "gioco".
Tante volte vi sarà capitato di rimanere sorpresi tra amici amici che ridevano per qualcosa che non avevo assolutamente colto. Ecco, in quel caso non conoscevate le regole del "gioco", cioè non avevate tutti i mezzi per decodificare il motto di spirito. Avrete avvertito un senso di esclusione da parte degli altri, che più o meno inconsciamente non vi hanno coinvolto. L’ironia è un mezzo molto sofisticato, sottile e colmo di variabili: con essa si può ferire, attaccare , sfogare rabbie a spese degli altri.  Lo scarto tra una battuta cordiale, una frase sarcastica e un’ intervento velato di cinismo non è così ampio.


C’è un’ironia che crea, vivifica e avvicina, un’altra che ferisce, svuota e divide.


Così ora sorrido dell'ironia della vita e un po' meno se mi accorgo che non riesco a sorridere con gli altri.

martedì 8 marzo 2011

Inventare il Mondo.

"Il mondo è pieno di taglialegna 
che scacciano le dolci driadi dell'amore dalle dimore della vita 
e tormentano usignoli in ogni valle."
Percy Bysshe Shelley


Due storie. Lontane. Diverse. Apparentemente non c'entrano niente l'una con l'altra. Eppure l''una mi richiama l'altra. Non riesco a pensare alla prima senza la seconda e viceversa. Allora mi soffermo un po' e provo a distinguerle.

Una riguarda il mondo. L'altra si svolge in una piccola provincia.
La prima è una storia conosciuta da tutti. E' raccontata da tutte le televisioni, sui giornali, su internet, nei social network. Non c'è bisogno di entrare nei dettagli. E' una storia di giovani che scendono nelle piazze per chiedere libertà. Chiedono di poter contare, di avere un futuro più dignitoso. E' un impulso individuale che è diventato un  grande sentimento collettivo. E' una storia che si svolge di giorno e di notte e senza interruzione va avanti, inarrestabile.

La seconda è una storia privata, che mi è stata raccontata in una piccola stanza, e per farvela conoscere debbo entrare un po' nei dettagli.
E' una storia di donne e mamme i cui figli frequentano tutti la stessa classe, la terza, della stessa scuola elementare. Una storia semplice, che nasce dalla voglia e dal bisogno di stare insieme. Così queste donne, ogni tanto escono e cercano un locale dove passare alcune ore a parlare. Non spesso. All'inizio una volta, l'anno successivo due volte, quest'anno chissà, dipende... . Dopo essere state in alcune pizzerie nasce la voglia di qualcosa di diverso, non solo chiacchiere ma anche qualcosa da fare insieme, che faciliti il conoscersi anche oltre la dimensione "seduti davanti ad una pizza".  Si informano e trovano un annuncio di un locale che sembra fare al caso loro. Si cena e poi c'è il Karaoke! Il nome del locale è un tantino strano, sembra uno di quei posti dove paghi per essere oggetto di piccole burle. Si tergiversa un po'. Poi una vede la pubblicità del locale in una TV privata e richiama le solite timorose: "Ma smollatevi un po'!"
Prenotano. Si perchè nelle tre sere settimanali di apertura si registra sempre il tutto esaurito. E poi loro sono 12, forse anche 14!
Arrivano, il locale è ancora vuoto. Sono le prime. Colpisce l'arredamento un po' bizzarro. In particolare l'etilometro. Una statua con l'organo maschile eretto e le istruzioniper l'uso, proprio lì.... , si guardano intorno, altri organi maschili in varie rappresentazioni. Perplesse si siedono e immediatamente una pioggia di noccioline americane le investe: "Tenete scimmie!!!" e giù a ridere (coloro che hanno tirato le noccioline, naturalmente!). Questo più che la statua le infastidisce, però c'è chi dice aspettiamo, vediamo. Arrivano i camerieri per le ordinazioni, si sideono vicino a loro e passando da una all'altra per presentare il menù accompagnano l'elenco dei piatti con parole "dolci" per ognuna di loro del tipo "ciao bella tro.." "tu li fai bene i pomp... vero!" "che gran zocco.. che sei!" ed altri apprezzameti. Si può reagire in molti modi, davanti a queste volgarità che divertono solo i gestori. Anche la paralisi è una reazione. La sorpresa è talmente elevata, fuori da ogni immaginazione, che nessuna riesce a dire "Basta!!" Resistono, anche perchè due di loro le avrebbero raggiunte dopo cena, giusto per il karaoke.

Il locale si riempie e sorpresa, sono quasi tutte donne! Poi però, "alla decenza c'è un limite!"Informano chi le deve raggiungere ed escono. E proprio mentre escono, con grande anticipo rispetto al programma della serata, ecco il finale che non ti aspetti... forse! Un gestore le avvicina e con estrema tranquillità,  con i soliti complimenti le lascia l'invito  per l'apertura della nuova sede, fra qualche settimana. Sì perchè ormai lì ci stanno stretti, la richiesta è in aumento!

Mi ritorna quindi la domanda iniziale. Cos'hanno in comune le due storie? La speranza e la libertà da un lato e la frammentazione e la volgarità dall'altra. La voglia di cambiare e lottare per un mondo migliore i primi, e i mille interrogativi e le possibili risposte della seconda (il bisogno di una rottura con una realtà insoddisfacente? Un club esclusiovo dove divertersi tra simili senza tenere conto dell'altro rompiscatole?).

Forse, mi dico, l'unica cosa che hanno davvero in comune è il fatto  che sono accadute entrambe in questo mondo. E forse è proprio questo di cui mi parlano in maniera quasi stridente. D'altra parte il mondo è fatto di opposti, di cose che senbrano non c'entrare niente l'una con l'altra.
Le parole di per sè anno un senso e allora vado alle origini...
Mundus in latino, Kosmos in greco sono termini che tra i loro significati principali indicano: umanità, ornamento, abbellimento...
Il mondo ci chiede attenzione, ma quale?
Credo che ci sia una sottile differenza tra i mondi che costituiscono la molteplicità degli ambienti oggettivi e soggettivi degli umani (le due storie) e il Mondo.
Il mondo può essere la sede degli esseri umani, dove ognuno agisce la propria idea di mondo liberamente.
Oppure la sede dove, lo stile di vita, il comportamento, i desideri di ognuno diventano forze che attraggono e tenguno unite le varie soggettività.
C'è un mondo con la m minuscola e i nomi degli individui e degli stati con la lettera maiuscola, dove prevale l'interesse del singolo individuo, stato, regione, oppure un Mondo con la m maiscola che diventa la casa di tutti.
E' complicato?
Sicuramente si!
Possiamo rimandare ancora?
No, è la mia risposta.
E' questo Mondo che dobbiamo ancora inventare.
Forse, per me.
Di sicuro, per tutti.